Nelle aziende l’attenzione recente si sta allontanando sempre più dal classico QI (quoziente intellettivo), dando sempre più dignità anche all’aspetto emotivo (accanto a quello razionale).
Ad oggi, infatti, si parla di intelligenza emotiva, legata alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. Il counselor nel corso del proprio percorso formativo ha acquisito l’abilità di entrare in contatto con le emozioni proprie e altrui, non a liberarsi da esse come fossero zavorra. È, inoltre, capace di non frammentarsi e rimanere organizzato in momenti di grande intensità come possono essere i colloqui con i clienti. Anche per questo motivo un intervento di counseling in ambiti organizzativi e “liquidi” può costituire una rara opportunità per aprirsi alle emozioni continuando a ragionare e interagire, vivendo pienamente sintonizzati su di Sé e sugli altri.
Le aziende si stanno rendendo conto dell’importanza crescente di considerare anche le dinamiche emotive delle persone, oltre che gli aspetti razionali.
I leader che “trascinano” i propri collaboratori verso l’innovazione e i cambiamenti devono sempre più essere consapevoli che generano negli altri delle emozioni che sono chiamati a gestire. Questa risorsa, però, è strettamente legata alla capacità del leader di aver sviluppato in prima persona un’elevata intelligenza emotiva. Come? Sicuramente questo “controllo” passa per una maggiore consapevolezza e conoscenza di sé e il counseling aziendale ad oggi è lo strumento principale per far emergere e “trattare” le emozioni in contesti organizzativi. In altre parole può aiutare a saper sfruttare al meglio l’energia delle emozioni per essere realmente efficace rispetto a se stessi e al proprio team di lavoro.
Ci sono alcuni concetti utili che legano le emozioni al contesto lavorativo:
- Le emozioni sono fonte di informazione: se durante la riunione un dipendente si sente a disagio, l’individuo può interrogarsi sul motivo di questa sensazione: pensa che sta perdendo il suo tempo in discorsi inutili? Bene, può allora intervenire per cercare di rendere la conversazione più costruttiva. Si sente amareggiato? Potrebbe realizzare che questo stato dipende dal fatto di sentirsi escluso dalla conversazione nella quale non riesce a intervenire. Forte di questa consapevolezza, può trovare la forza per dire la sua. Ma se non riesce a focalizzarsi sulle emozioni che prova e sul cercare di capirsi, resterà in un limbo non illuminato dalla consapevolezza di sé e del contesto e sarà più difficile reagire in modo funzionale. In altre parole, ogni volta che proviamo un’emozione dobbiamo chiederci quale informazione c’è dietro piuttosto che “occultare” questo segnale. Le emozioni, come una radiografia, possono rilevare cosa ci succede “dentro” e consegnarci un messaggio importante, purché siamo disposti a leggerlo.
- Le emozioni sono facilmente trasmissibili: quando si è in preda ad emozioni forti (ansia, paura…) il nostro linguaggio non verbale ne viene condizionato “contagiando” gli interlocutori. È stato dimostrato che questo fenomeno avviene attraverso i neuroni specchio, che ci consentono di entrare in empatia con i nostri simili, rendendoci capaci di capire la situazione e sentire le emozioni che sta vivendo un’altra persona. Per questo motivo, un capo irrequieto renderà irrequieti anche i propri collaboratori. Questo vale anche in senso positivo: un capo gioioso porterà gioia nel suo ufficio. Ciascun lavoratore in ufficio deve fare del suo meglio per vivere il proprio stato emotivo con responsabilità, senza dimenticare che i nostri comportamenti influenzano le risposte che otteniamo dagli altri.
- Coinvolgere i dipendenti è una questione emozionale: nelle organizzazioni si sente spesso parlare di “engagement”, concetto legato al coinvolgimento dell’individuo rispetto al proprio lavoro, fatto di passione, entusiasmo, significati. Per questo le decisioni prese sul lavoro saranno tanto più efficaci quanto più prendono in considerazione anche la sfera emozionale (oltre che razionale). Basta chiedersi: cosa sto provando ora? Quale sarebbe la decisione migliore se considero anche le mie emozioni attuali? Si pensi a quando combattiamo un vizio: smettere di fumare per esempio. Per anni sappiamo (sfera razionale) che dovremmo farla finita con le sigarette, eppure la decisione efficace (finalmente smetto!) è una decisione emozionale: smetto quando la paura delle conseguenze è troppa, e la paura è un’emozione, la più potente.
Ecco perché il counseling, attivando anche una riflessione sul proprio vissuto emotivo che emerge nell’esperienza lavorativa, può aiutare il dipendente ad agire il proprio ruolo professionale più efficacemente.