Nelle aziende si utilizzano diversi strumenti per promuovere lo sviluppo delle risorse umane.
Alcune iniziative riguardano la formazione tradizionale, quella esperienziale, l’outdoar training, il tutoring, il mentoring, i modelli comportamentali (spesso ispirati alla “leadership”), il coaching e molto altro ancora.
Se immaginiamo di disporli lungo due assi, riferiti al grado di responsabilizzazione personale e al grado di apprendimento esperienziale, vedremo che il counseling si pone ad un livello alto di entrambe le componenti.
Se è vero, infatti, che non esiste apprendimento se non auto-apprendimento e se è vero che il counseling è centrato sul cliente e sulla sua volontà di crescere, la responsabilità personale cercata dal counselor nel cliente è massima.
Al tempo stesso, nel processo di counseling l’apprendimento nasce proprio dal vissuto del cliente (dalla verbalizzazione che mette in atto, dai feedback e dal confronto che rimanda il counselor, dalle emozioni vissute, dalla ricerca di azioni più funzionali…), che fa esperienza di sé in un contesto guidato che stimola la crescita personale, aspetto condiviso anche dalla pratica del coaching.
Non si sta dimostrando una sorta di “superiorità generalizzata” del counseling in azienda, ma semplicemente la tesi è che questa disciplina massimizza i risultati secondo i due assi indicati, responsabilizzazione personale e grado di apprendimento esperienziale, in quanto centrali nell’atteggiamento messo in atto dal counselor. Ciò non toglie che esistano altri assi di valutazione degli strumenti in uso aziendalmente, sebbene personalmente credo che questi corrispondano alle principali leve per determinare il cambiamento personale, in quanto senza vivere lo stato di cambiamento desiderato (l’esperienza) e senza farsene carico personalmente (la responsabilità), ogni cambiamento/apprendimento non può che essere transitorio.
